"Penso che l'italia sia un paese unico. Suvvia ci invidiano tutti! Abbiamo la pizza, abbiamo la pasta, abbiamo i sapori mediterranei, le spiagge cristalline, i profumi della natura nell'aria. E poi, abbiamo l'amore. Quello ce l'abbiamo nel cuore, perché amiamo più che mai tutto ciò che ci circonda: la vita, le persone, gli animali. Penso che gli italiani rappresentino al meglio questo splendido paese".
Silvia Maccari
Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani
Cari Italiani, ho assistito per intero su RAI 3, dopo averne visto spezzoni sul Corriere.it, al bellissimo documentario/reality “La scelta di Catia”. E’ un “pezzo” di televisione importante, profondo, vero. La scelta di una ragazza che fa il comandante di una nave militare, il dramma e la tragica visione, in presa diretta, di cosa significa soccorrere barconi di disperati al largo, alla deriva, cadaveri che galleggiano. E il sentire un profondo senso di stima e orgoglio per quella donna e il suo equipaggio, che rappresentano il nostro Paese, in una missione che più umanitaria non si può (con buona pace di chi dice che si deve usare il metodo duro con sta gente…). Credo che un simile reality girato su una nave militare di altri nazioni, magari con tradizioni belliche più “intense”, non avrebbe fatto vedere un ufficiale che si commuove al confronto tra i suoi figli e i bambini che recupera dal Mediterraneo.
La scelta di Catia - Video
Chi eravamo ...per non dimenticare
Tutto quanto lo abbiamo rimosso dalle nostre coscienze perchè ci fa più comodo credere che siamo stati sempre benestanti, puliti, belli e sazi.

“Sporchi”, “ladri”, terroristi”. E ancora: “violenti”, “incivili”, “barbari”. E come se non bastasse “rubano il lavoro ai nostri giovani”. Così molti definiscono i migranti che sbarcano sulle nostre coste o arrivano comodamente in aereo o in pullman dall’Europa orientale. Così chiamavano gli italiani quando ad emigrare eravamo noi, quando i “clandestini” erano i nostri nonni, i nostri zii, i nostri “fratelli”. Più di 27 milioni di cittadini fuggiti all’estero alla ricerca di fortuna, di un impiego, di un posto al sole. Più di 27 milioni di anime fuggite tra il 1876 e il 1976, dimenticate, cancellate.
Dedicato a tutti coloro che sono partiti con la speranza di un mondo MIgliore -Video
"Gl'italiani vanno al Nord in cerca di soldi; al Sud in cerca dell'anima. All'estero smettono di essere meridionali o settentrionali e diventano solo italiani (indistintamente,
nel pregiudizio altrui, geni e farabutti)". Pino Aprile
A metà tra bianchi e “negri”. Cancellati come i soprusi, le umiliazioni, gli infamanti stereotipi che si appiccicavano addosso e non se ne andavano più. Gli emigranti italiani negli Stati Uniti non erano considerati di razza bianca. Ci definivano “latini”, una via di mezzo tra i bianchi e i “negri”. In Svizzera, invece, eravamo tutti “sudici e sporchi”, così luridi che nei bar o nei ristoranti ci era vietato l’ingresso, al pari dei cani.
I migranti più odiati. Oggi allo stesso modo trattiamo i migranti che giungono da noi. Non tutti fuggono dalla disperazione. Nemmeno molti di noi fuggivano dalla disperazione. Tanti fuggono per cercare fortuna, per respirare la libertà. E noi abbiamo fatto lo stesso. Ma noi continuiamo a raccontarci una storia che i realtà non esiste: “Noi eravamo diversi, noi eravamo poveri ma belli”. In realtà siamo stati tra i migranti più odiati, come gli albanesi in Italia negli anni Novanta, come i rumeni e gli arabi oggi. Certo, la storia delle migrazioni italiane è nel complesso positiva, non possiamo negarlo. Sangue italiano scorreva nelle vene di importanti letterati e pittori francesi come Émile Zola e Paul Cézanne, di patrioti argentini, australiani, venezuelani e addirittura statunitensi ed ungheresi, come Manuel Belgrano, Raffaello Carboni, Filippo Mazzei e Pippo Spano.
La storia a metà. Ma gli altri 27 milioni di sconosciuti, di poveracci non li ricorda nessuno. Anzi preferiamo dimenticarli. Ci siamo costruiti la nostra storia guardando alla fama conquistata da Antonio Meucci, inventore del telefono, dagli attori Leonardo Di Caprio, Rodolfo Valentino e Robert De Niro, dal successo di politici come Mario Cuomo o Rudolph Giuliani. Così abbiamo pensato di essere diversi, migranti “di successo”. Invece, abbiamo rimosso la storia di chi non ce l’ha fatta o di chi tutto sommato è rimasto nell’ombra, lavorando onestamente. Ci si dimentica della fatica e del coraggio dei contadini italiani nelle campagne brasiliane o argentine, o dei minatori in Belgio, che vivevano in condizioni disperate e che morirono a Marcinelle. E ci si dimentica degli “italiani mafiosi”, quelli che hanno esportato ogni genere di criminalità.
“Terroristi, gli italiani”. Oggi abbiamo paura che tra i tunisini che sbarcano a Lampedusa ci possano essere terroristi. Allo stesso modo così erano chiamati i nostri migranti quando sbarcavano nel porto di New York, perché negli anni Venti a seminare il terrore ci pensavano i nostri anarchici, 80 anni prima di Bin Laden.
Così appare chiara una cosa: la vera differenza tra “noi” e “loro” è lo stacco temporale che separa i due fenomeno migratori. Per questo l’Italia (e soprattutto il nord da dove milioni di persone sono partite) non può permettersi di essere un paese xenofobo. Ha certamente diritto di imporre una politica migratoria anche restrittiva se lo ritiene utile, ma chi è al potere non può e non deve utilizzare la paura per accendere l’odio, senza offendere l’onore di quei 27 milioni di fratelli umiliati, offesi, maltrattati.
...inizia oggi un lungo percorso nella storia dell’emigrazione italiana. Un modo per ricordare il nostro passato, per sapere che “loro” eravamo “noi”.
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